“OGNI VITA E’ SACRA”

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Volentieri riceviamo e pubblichiamo un racconto del nostro socio Leonardo Broseghini.

OGNI VITA E’ SACRA

di Leonardo Broseghini

 

Si preannunciava una calda giornata a Huai Khwang, anche se spirava un minimo di brezza mattutina, capace di scuotere alcune campane di preghiera che tintinnavano incessantemente: si sarebbe poi persa di forza via via procedendo nel cammino verso l’afoso centro di Bangkok.

I bambini giocavano, come sempre,  rumorosi per strada, mentre sul marciapiede procedevano scherzando allegre combriccole di monaci, che spiccavano per gli accesi sai arancioni e per l’altrettanto caratteristica testa rasata, che a tratti rifletteva la luce del sole.

All’improvviso un grido sovrastò ogni altro suono, seguito da un pianto acuto ed incessante; Junta apri la porta di casa allarmata, e fu subito travolta da un gruppo di bimbi (alcuni di questi li aveva riconosciuti, erano compagni di gioco della sua piccola Raylai): “Presto, presto mamma di Raylai, venga: Raylai si è fatta male”.

Junta non si ricorda nemmeno i dettagli degli avvenimenti immediatamente successivi; la paura che come uno spettro sempre covava  nel suo cuore di  mamma di una bambina undicenne fuori di casa, fuori da ogni immediata supervisione, era improvvisamente esplosa cancellando ogni altro pensiero; ha solo, Junta, ben chiara in mente la visione della sua piccola, con una gamba mezza sprofondata in un tombino dalla ampie grate, che la fissava implorando aiuto con lo sguardo e con la voce.  E anche ripensandoci dopo, non avrebbe mai saputo dire quale dei due fosse più angosciante.

La piccola era caduta in una fogna a cielo aperto. Nella discesa a quegli inferi, un lungo tratto di pelle si era scorticato, ricoprendosi interamente di una melma scura e maleodorante. Junta riprese il controllo di se: prese per le ascelle la bimba, la estrasse dalla trappola, e mentre la consolava e rincuorava cercava alla belle e meglio di ripulirla, utilizzando un lembo della propria veste come straccio improvvisato. Sotto alla fanghiglia putrida emerse la lunga ferita, che arrivava fino alla carne viva; chiaramente era una questione da dottori, nulla che si potesse risolvere coi mezzi casalinghi alla sua portata.

Il viaggio al lontano ospedale, per le caotiche strade di Bangkok, fu una vera agonia. Raylai non strillava più, ma singhiozzava piano, mentre Junta cercava di tenerla sollevata per alleviare il peso sulla gamba lesa, ed intanto, calato il panico, rimaneva spazio per altri pensieri: “Sono uscita di corsa di casa, avrò chiusa la porta ? Avevo lasciato qualcosa sul fuoco, qualcuno provvederà a spegnere ?”.

Arrivate finalmente all’ospedale, furono accolte in accettazione da un Budda seduto gigante e sorridente; gli inservienti si davano da fare per ramazzare con cautela alcuni scarafaggi che gareggiavano veloci fra di loro sul pavimento, accostandoli dolcemente verso i muri, per evitare che qualcuno, magari distratto dalle proprie ansie, accidentalmente li schiacciasse.

Immediatamente vennero dirottate verso il reparto di pediatria, dove furono rincuorate dall’ampio sorriso del medico che la prese in consegna. “Vieni bimba, a te pensiamo noi: uscirai di qua come nuova”.

Junta teneva la mano alla piccola, sussurrandole parole dolci all’orecchio, mentre amorose infermiere passavano un panno imbevuto d’acqua calda sulla ferita, ed il medico accendeva incensi profumati tutt’attorno. Conclusa questa operazione passò a suturare i lembi di carne.

I primi dubbi le vennero quando vide che procedevano alla bendatura, senza aver dato altro medicamento che l’acqua.

“La ferita è profonda, mi aspettavo un po’ di tintura, almeno, che so, un po’ d’alcool”.

Il sorriso si spense dal viso del dottore: “Noi non usiamo quella roba”.

“Come sarebbe a dire ? E le infezioni ?”

Ripresosi dallo shock dell’importuna domanda, il sorriso standard tornò ad illuminarlo:”Appunto”

“Appunto ?”

“Appunto !”

“Come sarebbe a dire ?”

“Sarebbe a dire che non ho nessuna intenzione di fare una strage di batteri: sono un medico obbiettore”

“Eh ? Cosa sta dicendo ? Mia figlia ha infilato una gamba nella fogna, rischia una severa setticemia”

“Ed io sono buddista: per me ogni vita è sacra, anche quella dei batteri”

Junta capì. Educata blandamente alla religione, anche lei festeggiava le ricorrenze previste, aveva insegnato le preghiere a Raylai, ed ogni tanto accendeva qualche incenso. Ma non aveva mai sentito parlare di medici obbiettori. Di certo non osò chiedere lumi riguardo la sterilità dell’ago utilizzato.

“Senta, rispetto la sua religione. Figuriamoci, sono buddista anch’io. Ma non potrebbe chiamarmi un qualche altro dottore ?

“Qua tutti i medici sono obbiettori. Il nostro è un ospedale, non un campo di sterminio per i microbi”.

Detto questo girò i tacchi e prese ad occuparsi di altri piccoli pazienti.

Junta passò la notte in pediatria, accanto alla piccola Raylai, dal sonno lamentoso e tormentato; al mattino, era madida di sudore, e la sua fronte era calda quasi come i fornelli che Junta s’immaginava d’aver lasciato acceso a casa.

Alla buon ora, premuroso e sorridente, il medico del giorno prima si presentò per la visita di controllo.

“Allora, come sta la nostra piccola principessa ?”

“Scotta, ha la febbre”.

Prontamente un’infermiera le coprì la fronte con un panno bagnato.

“Senta dottore, è chiaramente in atto un’infezione”, disse Junta, forte di prolungate ed assidue visioni televisive di soap opera in stile medico.

“Probabile”, replicò il medico sorridendo.

“Ed allora… servirebbe un antibiotico, vero ?” Azzardò timidamente la madre.

Il viso del dottore tornò improvvisamente oscuro “Ma per chi mi ha preso ? Le ho già spiegato, mi sembra, che io obbietto!”

“Si, ma mia figlia sta male. Come può mettere la vita dei batteri davanti alla salute di una bambina ?”

“E se uno di quei batteri fosse suo nonno reincarnato ? Vuole uccidere suo nonno ?” replicò il sempre più stizzito dottore.

“Ma cosa vuole che m’importi del batterio/nonno. Se non la cura, mia figlia rischia la vita!”.

“Nel caso, vorrà dire che aveva un pessimo karma”, tagliò corto acidamente lui. E di nuovo sparì.

Non si fece più vivo per l’intera giornata. Vennero invece le infermiere, a sostituire le bende e a ravvivare gli incensi; la ferita aveva un aspetto disgustoso, si era gonfiata e lampeggiava come un fuoco acceso. La bambina era sempre più calda ed era chiaro che sottoposta a questo tipo di trattamento, sarebbe solo potuta peggiorare.

Fu così che Junta prese la decisione di riportarla a casa. Se si trattava solo di cambiare le bende, avrebbe potuto benissimo provvedere da sola. Arrivata a casa (i fornelli erano spenti, per fortuna) la stese nel suo lettino, le asciugò la fronte (che invece era bollente) e decise di correre in farmacia per procurarsi un antibiotico.

Il primo farmacista non fu troppo scortese. “Mi dispiace, non teniamo quel genere di farmaci. A parte che servirebbe la ricetta medica, io sono un buddista osservante e non vendo strumenti di morte”

“Ma mia figlia ha la febbre alta!”

Anche sul suo viso s’impresse lo stesso identico sorriso del dottore “Un antipiretico posso sempre darglielo, non c’è problema. Ma per favore, non mi chieda strumenti di sterminio di massa per i batteri: ho una coscienza,  per soddisfare la sua richiesta non potrei poi più dormire sonni tranquilli io”.

Man mano che bussava a tutte le farmacie, ottenendo sempre lo stesso genere di risposte, la sua disperazione cominciava a crescere sempre di più. A casa Raylai delirava e la ferita era passata dal colore rosso al nero, emanando pure uno sgradevole odore.

Una vicina di casa dalla cattiva reputazione (era nota per lo stile di vita dissoluto che conduceva), cercò di venirle in soccorso: “Conosco un ambulatorio, non lontano da qua, condotto da un medico cinese, il quale, si dice, tratti le infezioni con gli antibiotici”.

Le due sollevarono insieme la bimba, che non era più in grado di reggersi in piedi da sola e si recarono in direzione dell’ambulatorio. Arrivate in prossimità di questo, notarono una piccola folla che ne ostruiva l’ingresso. Di lato alcuni monaci mugugnavano preghiere, mentre un gruppo di persone innalzava minacciosi cartelli:

“Assassini”, “Chiudiamo il lager”, “Ogni vita è sacra”

Una muraglia umana ostruiva l’ingresso alla clinica ed a nulla valsero le suppliche e le preghiere di Junta, che anzi rimediò alcuni sputi ed alcuni spintoni nel vano tentativo d’aprirsi un varco (va beh essere non violenti, pensavano alcuni manifestanti, ma quando ci vuole, ci vuole).

Non passò la notte successiva, la piccola Raylai, e ne le partecipate onoranze funebri, ne i tentativi di consolare Junta (“vedrai, una bimba così brava e buona come Raylai, chissà quanti passi avanti avrà fatto verso il nirvana!”), nulla potevano contro la sua disperazione.

Sulle sue disgrazie e sul proprio dolore rimuginava l’insonne Junta nel letto sudato nell’afosa ed immobile nottata di Bangkok. E mentre la sofferenza la pervadeva con languore, casualmente lo sguardo le cadde sulla zanzara che beata si nutriva dalla sua spalla. Quasi automaticamente sollevò la mano per schiacciarla quando un improvviso pensiero le congelò il gesto: “E se fosse Raylai ?”

La zanzara tranquilla concluse i propri comodi, e satolla s’involò nel silente buio alla ricerca di un nuovo desco.

 

“OGNI VITA E’ SACRA” di Leonardo Broseeghini 

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